L’emigrazione dal Bellunese
La
provincia di Belluno è tradizionalmente nota per la sua caratteristica
di paese di emigranti.
"Ogni
famiglia, dalla più povera alla più ricca, ha avuto emigranti […].
Emigrazione significa storia dei nostri padri. E queste "radici" sono
degne di essere conosciute, non fosse altro perché, quasi sempre,
emigrare ha significato – in passato – alleviare la fame di chi
partiva e di chi restava. In molti casi ha significato il trampolino
di lancio per un’esistenza più dignitosa e di maggior benessere
economico per figli e nipoti, fino ai giorni nostri". (1)
Fin da
bambini, abbiamo sentito parlare dei nostri nonni e bisnonni che, con
la loro valigia di cartone, se ne partivano diretti verso città
lontane, il più delle volte in paesi stranieri, alla ricerca di fonti
di guadagno che non riuscivano a trovare nel luogo natio. Gli uomini
si dedicavano ai mestieri più disparati: oltre a quelli, comunemente
noti, legati alla cantieristica, sono degni di menzione, i gelatieri,
grazie ai quali Belluno è conosciuta, anche oggi, in molti paesi
esteri; i cosiddetti "Scòti", zoldani che, verso la metà
dell’Ottocento, andavano a Milano durante la stagione invernale a
vendere castagne cotte e pere; gli "squarador", che si recavano,
prevalentemente in Romania a sagomare le piante dei boschi, e i
seggiolai ambulanti, o "caregheta", certamente i più conosciuti,
provenienti soprattutto dall’Agordino. (2) Quest’ultima attività
risale certamente alla fine del ’700 e si sviluppò dapprima nei paesi
di Gosaldo e Tiser, per estendersi poi ad altri luoghi dell’Agordino,
in particolare a Rivamonte, dove, a causa dei fumi sulfurei che si
sprigionavano dai forni delle miniere, i terreni diventavano sterili e
l’agricoltura insufficiente al mantenimento delle famiglie; questo
mestiere costituiva una valida alternativa al duro lavoro in miniera,
anche se comportava il sacrificio di una vita itinerante, lontano da
casa e dalla famiglia.
I seggiolai
partivano tra la fine di agosto e l’inizio di ottobre, quando i lavori
nei prati e nei campi erano quasi terminati e la legna per l’inverno
era stata preparata; non tornavano che verso Maggio-Giugno dell’anno
seguente, dopo aver girato intere province ed aver condotto una vita
di stenti, cercando di risparmiare il più possibile, per la famiglia
lontana.
A volte,
questa emigrazione, da stagionale poteva trasformarsi in definitiva,
in quanto i continui contatti con zone e culture diverse da quella del
paese d’origine poteva cambiare la mentalità e il modo di essere degli
itineranti, al punto da non farli sentire più a loro agio nei luoghi
nativi. (3)
Una delle
mete più consuete dei "caregheta" era sicuramente Venezia, dove già
nel 1594 è attestata, nella parrocchia di S. Salvador, la presenza,
tra gli immigrati, di Bortolomio, "conza carieghe" da Agordo (4);
inoltre, Gaetano Zompini, nella sua opera Le arti che vanno per via
nella città di Venezia, ci dà una realistica rappresentazione di
un seggiolaio ambulante, proveniente dal Cadore, che si recava nella
Dominante per esercitare il suo mestiere. (5)
Un’efficace
descrizione della vita di questi lavoratori itineranti ce la fornisce
Giovanni Grevenbroch:
"Noi
intendiamo di estendere il fervore industrioso del povero popolo, che
circonda la Terra di Agort nel Territorio Bellunese (non Friulese),
stante che alcuni di quei Villici, massime nell’Inverno, obbligati
dalla fame, abbandonano il proprio Nido, per ricoverarsi in sì felice
Metropoli, dove mediante meccanico lavoro, secondo il loro basso
intelletto, provvedono all’indigenza estrema e al mantenimento
quotidiano […]. Tali sono gli Conza Careghe, Gente senz’Arte e senza
altra attività, che di costruire Sedie d’ogni sorte, di legno di Salce,
e trecce di paglia, tradotta da dolci Paludi. Costoro non eccedono il
numero di cento, ne più di otto mesi a vicenda a Venezia dimorano,
nelle Contrade di S. Luca, di S. Barnaba, e S. Maria Nova, vivendo con
parsimonia, onde conservare il Denaro, in maniera che non si
alimentano di altro, che di Polenta, cibo invero per necessità gradito
ne’ nativi alpestri paesi". (6)
Notevole fu
anche l’emigrazione di donne e bambini: le prime tra l’800 e il ’900,
spesso si trasferivano in città come Milano, Bologna, Torino e Venezia
a fare le "balie" o le domestiche (7), oppure andavano a fare le "Ciode"
nel più vicino Trentino.
"Ciòde" e "Ciodéti"
erano i termini coi quali si indicavano le donne e i ragazzini che si
recavano, ogni primavera, in Trentino per svolgere lavori agricoli e
non tornavano a casa che ad autunno inoltrato. (8)
L’emigrazione fu, dunque, un fenomeno di notevole rilevanza e che
condizionò in maniera radicale la vita della città e del territorio,
tanto che, nel 1966, si sentì l’esigenza di fondare un’associazione
che fungesse da centro d’aggregazione e comunicazione tra i bellunesi
sparsi nel mondo, che fornisse loro un valido aiuto nella difesa dei
propri diritti e ne tutelasse la loro identità di emigranti; quella
che oggi è conosciuta col nome di "Bellunesi nel mondo". (9)
Molti sono
gli scritti che hanno analizzato il fenomeno migratorio nel Veneto e
nel Bellunese, in particolare, ma questi interessano principalmente il
periodo che va dal XIX secolo ai giorni nostri (10); eppure questo
movimento di soggetti alla ricerca di un’occupazione era già
consistente nei secoli precedenti, ma, forse per il suo carattere
prevalentemente stagionale, era di difficile individuazione e quindi è
stato poco studiato.
Emigrazione
verso Venezia
Interessanti notizie, per quanto riguarda l’emigrazione bellunese nel
Settecento, si possono ricavare dagli studi di Giovanni Caniato e
Guglielmo Zanetti sull’arte degli squeraroli di Venezia (11),
in quanto, dalle loro opere, emerge che una consistente percentuale di
garzoni addetti a tale mestiere proveniva da varie località del
Bellunese e da Zoldo in particolare.
Dati
analoghi si ritrovano nell’opera L’arte dei calegheri e zavateri di
Venezia tra il XVII e il XVIII secolo, nella quale si afferma che,
analizzando la provenienza dei garzoni di questa corporazione nei
quinquenni 1698-1702 e 1736-1740, la percentuale di quelli giunti da
zone montane come Cadore, Agordino e Bellunese "sale al 43% nel caso
dei garzoni assunti nel primo quinquennio e al 51% per quelli del
secondo". (12)
Un’ulteriore conferma dell’abituale spostamento degli uomini della
vallata bellunese verso Venezia, per motivi di lavoro ci è fornita dal
saggio di Morena Lucchetta che, analizzando la situazione famigliare
della comunità di Canale d’Agordo tra il Settecento e l’inizio
dell’Ottocento, sottolinea come una buona percentuale di capifamiglia
eserciti professioni inconsuete per questi luoghi montani, come "felzai
da barche", "facchini d’Arsenale", "lavoranti di seta" e "sbiaccari".
Unica
spiegazione possibile è il fatto che queste persone, pur mantenendo
casa, famiglia e residenza nel Bellunese, esercitino la loro
professione e dimorino a Venezia, tornando nella loro vallata solo nei
mesi estivi per la fienagione e il lavoro nei campi.
"Questa
comunità quindi, chiusa dal punto di vista geografico ed ambientale, è
però aperta al mondo economico e sociale dello Stato di cui fa parte.
L’emigrazione vista da sempre come qualcosa di negativo può, in questo
contesto, essere l’unico mezzo di sussistenza per le famiglie di
questa valle. Ecco che, accanto alle attività legate ad una tradizione
montana, il valligiano tende ad aprirsi e a imparare nuovi mestieri.
Tende cioè
a migliorare le sue precarie condizioni di vita, mettendo a
disposizione di altre comunità il suo lavoro, che diventerà l’unica
risorsa di sussistenza della popolazione della valle, segnata dalle
profonde crisi della fine dell’Ottocento e dei primi del Novecento".
(13)
Precisazioni metodologiche
La mia
ricerca prende spunto dall’indagine che Antonio Lazzarini ha condotto
sui registri dei garzoni, contenuti nel fondo Giustizia Vecchia,
conservato presso l’Archivio di Stato di Venezia. (14) Lo studioso ha
preso in considerazione la documentazione relativa al periodo
1731-1750 ed ha sviluppato un’interessante analisi sulla presenza dei
bellunesi a Venezia, basandosi, appunto, sui contratti stipulati tra
datori di lavoro e garzoni, fonte privilegiata in quanto è quasi
sempre riportato il luogo di provenienza degli assunti, almeno fino al
1760, quando questa preziosa informazione tende a diventare sempre più
rara.
Da parte
mia, ho cercato di approfondire questo argomento esaminando gli
incartamenti che coprono l’arco temporale che va dal Gennaio 1703 al
Maggio 1772 (secondo il calendario veneto che faceva iniziare l’anno
il primo Marzo per concludersi a fine Febbraio), contenuti nelle buste
124, 125, 126 del fondo Giustizia Vecchia, e che riportano i
contratti di garzonato relativi a buona parte delle arti,
integrandoli, in alcuni casi, con altri documenti più esaustivi.
Non sempre,
però, sono riuscita a rintracciare sufficienti dati che possano
coprire, in maniera esauriente, l’intero periodo sopra citato, in
quanto spesso, i contratti sono riportati in altre fonti che, in molti
casi, non sono riuscita a reperire, o non sono per niente annotati.
Ho riunito
i contratti di lavoro in tabelle, a seconda della professione, ed ho
così individuato diciotto arti in cui la presenza di garzoni,
provenienti dal Bellunese, è particolarmente rilevante, vale a dire:
bombaseri, botteri, calegheri e zavateri, cappelleri, casselleri,
fabbri, forneri, fustagneri, intagliadori, linarioli, luganegheri,
marangoni, scaleteri, squeraroli, stramazzeri, tentori, tesseri e
tornitori.
Infine ho
confrontato i cognomi dei garzoni con quelli dei capi maestri delle
singole arti (quando sono riuscita a trovarli), per rintracciare
eventuali corrispondenze, parentele o altro; pochissime fonti
riportavano, accanto al nome del capo maestro, la provenienza, per cui
ho attribuito origine bellunese a quelle persone che esibivano cognomi
ancor oggi diffusi nella nostra provincia, o presenti nelle liste di
quei garzoni il cui luogo di nascita era attestato nel documento.
Ogni
contratto riporta, con lievi variazioni, la medesima formula, ad
esempio:
"24
Novembre 1732
Zuanne de
Zuanne Dal Frano di S. Vido di Cadore di anni 13 in circa, s’accorda
per garzon con Antonio Pellegrini stramazzer per anni cinque
principiati il […] e falando alcun giorno sia tenuto riffar quel paron
si offerisse insegnarli l’arte sua, lo tien in casa mondo e netto li
fa le spese e di salario li dà ducati cinque all’anno. Piezo Zuanne
Pompanin zavater in Calle Longa in forma". (15)
Come si può
notare, questa formula ci fornisce molte notizie utili non solo per
quanto riguarda la generalità e la provenienza del garzone, ma anche
sugli obblighi reciproci tra il datore di lavoro e l’apprendista,
consentendoci di conoscere più a fondo le consuetudini lavorative di
quel tempo.
La prima
indicazione interessante è sicuramente la precisazione dell’esistenza
in vita o meno del padre del garzone, in questo caso espressa dal
de davanti al nome, sostituito dal quondam quando il
genitore risulti deceduto.
A volte mi
è capitato di trovarmi di fronte alla difficoltà di capire se quel
de significasse "figlio di" oppure fosse il prefisso di un cognome
composto con un nome proprio (ad esempio De Mattio), vista la mancanza
di un’ortografia corretta; dal mio studio mi è sembrato di capire che,
in questi registri, sia riportata per prima la paternità e poi il
cognome del garzone, per cui, in casi dubbi, ho usato questo criterio.
Anche
comprendere i cognomi ha comportato un notevole sforzo, sia per la
ricorrente indecifrabilità della grafia sia per il fatto che, spesso,
sono scritti in dialetto, magari con l’aggiunta di doppie o apostrofi
inesistenti e perciò ho dovuto far ricorso, in molti casi, al
confronto con quelli diffusi ancor oggi per scioglierli; altre volte
insorgeva anche la difficoltà di capire se diciture come cadorin
o ampezzan fossero cognomi o denominazioni di origine.
I luoghi di
provenienza dei garzoni vengono, in genere, indicati nelle fonti in
base alla divisione amministrativa del territorio della Repubblica, a
volte con la specificazione del paese, più spesso con l’indicazione
della zona geografica corrispondente; per esigenze espositive io li ho
così raggruppati:
- Agordo:
comprende anche i paesi di Caprile, Alleghe, S. Tommaso e Cencenighe;
- Cadore:
anche quando sono specificati, i paesi non sono stati trascritti;
- Canale
d’Agordo: viene considerato a se stante anche se fa parte del
Capitaniato di Agordo dal punto di vista amministrativo;
-
Cividal de Belun: indica la città ed anche il Territorio Basso;
- Zoldo:
anche quando sono specificati, i paesi non sono stati trascitti.
Pochi i
contratti stipulati con ragazzi provenienti dall’Alpago ed ancor meno
con i feltrini, probabilmente diretti verso altre località.
Molto
numerosi appaiono, invece, i garzoni provenienti da zone inserite da
secoli nei confini dell’Impero asburgico, ma che, nel Settecento,
sembrano ancora gravitare nell’orbita veneziana per quanto riguarda il
settore lavorativo: Livinallongo (Livinal longo o Vinal
Longo), Colle S. Lucia ed Ampezzo.
L’età di
assunzione dei garzoni variava da un minino di dieci anni fino ai
diciotto (venti in qualche caso), con una percentuale maggiore della
fascia d’età compresa tra i tredici e i quindici anni, anche se il
fatto che molti ragazzi sono descritti come "d’età maggior" e
l’aggiunta del "circa" accanto agli anni non consentono di calcolare
con certezza l’età media.
La durata
del periodo di garzonato era, in genere, di cinque anni che potevano
anche diventare sei o sette per certe professioni (come ad esempio gli
intagliadori), oppure ridursi a due o tre, forse nel caso di
una particolare abilità dell’apprendista o se questi aveva
precedentemente esercitato il medesimo lavoro presso un altro padrone,
o più probabilmente, se era un figlio di un capo maestro. Il garzone
aveva l’obbligo di recuperare ogni giorno di assenza dal lavoro,
mentre il padrone era tenuto ad insegnargli il mestiere, ad ospitarlo
nella sua casa, o comunque a fornirgli un alloggio, vitto e vestiario
anche in caso di malattia; insomma avrebbe dovuto occuparsi di lui
come un "buon padre di famiglia".
I compensi
Il salario,
quando esisteva, era molto basso ed era pagato, di solito,
annualmente; nei documenti ricorre spessissimo la somma di cinque
ducati all’anno.
A volte i
contratti riportano un compenso totale ("in tutto") che,
probabilmente, veniva versato al termine dell’apprendistato; forse era
un deterrente contro un’eventuale fuga da parte del garzone (visto che
non erano poi così rare) o poteva servire per coprire eventuali danni
causati da questo; ma sono solo mie ipotesi.
Un’altra
modalità di pagamento era quella elargita settimanalmente, con un
aumento piuttosto costante di circa una lira alla settimana ogni anno,
come per l’aspirante tentor da guado Battista fu Antonio Mina,
assunto come garzone il 25 Settembre 1727, con la promessa di un
compenso di sei lire alla settimana per il primo anno, sette per il
secondo, otto per il terzo e nove per il quarto ed ultimo anno. Oppure
veniva stabilito un compenso giornaliero, come per il garzone
Pellegrin di Bastian Cech di Canale d’Agordo, preso alle sue
dipendenze dallo stampador Stefano Tramontin il primo Marzo
1731, per "30 soldi al giorno per i giorni di lavoro". (16)
Ho notato
che, nei documenti da me consultati, queste inconsuete modalità di
pagamento sono presenti soprattutto nelle arti dei tentor e
degli stampador.
Chi non
veniva retribuito in denaro poteva ricevere come corresponsione "una
traversa", oppure "falda, scarpe e bereta", o "falda, scarpe e calze",
il più delle volte solamente una di queste tre cose, in genere le
scarpe; i padroni più generosi li fornivano al garzone "al bisogno",
gli altri "una volta tanto".
Tra i più
"fortunati" voglio citare il diciottenne Zuanne De Sabbe, assunto il
primo Settembre 1708 dai forneri Zorzi Gasparin e Zuanne De
Sabbe che riceve, come compenso, cinque ducati all’anno ed anche una
traversa (17); purtroppo non sono riuscita a sciogliere il nome
del padre, ma l’evidente omonimia col datore di lavoro indica una più
che probabile parentela ed è forse dovuta a questo il miglior
trattamento economico.
Anche Gio.Battista
Adami di Cividal de Belun può benissimo essere considerato un
privilegiato, visto che il salario pattuito col capo maestro Nicolò
D’Adamo il 18 Luglio 1708 (data di assunzione) prevedeva "sette ducati
all’anno e mantenerlo di scarpe" (18); anche in questo caso si può
avanzare l’ipotesi di una qualche parentela, visto la somiglianza dei
due cognomi e dato che, in questi incartamenti, sono frequenti
l’alterazione dei termini ed errori di trascrizione
Un’altra
ipotesi potrebbe essere che entrambe le famiglie degli stipulanti il
contratto provengano dallo stesso paese di montagna (vista la
somiglianza dei cognomi) e quindi l’esistenza di rapporti d’amicizia
spiegherebbe questo miglior trattamento economico; tuttavia le mie
restano supposizioni difficili da avvalorare.
Molte volte
capitava che fosse il padre del garzone, o il garzone stesso, a dover
corrispondere al padrone una somma in denaro o in beni di consumo sia
per contribuire al mantenimento del ragazzo durante il periodo di
apprendistato, sia perché gli fosse insegnato il mestiere.
Un esempio
è il contratto di garzonato stipulato tra Lorenzo di Gio.Battista
Vingontina dall’Ampezzo e Bernardo Zuliani fabricator da calze,
il 23 Dicembre 1717, che stabiliva che il padre dell’assunto dovesse
dare al padrone "un vitello salato ogni anno" (19); Mattio Diedi,
tornitor d’avolio, chiede al garzone Giacomo di Simon De Gaspari,
suo dipendente dal 18 Agosto 1728, la somma di "20 ducati in tutto"
(20), mentre Nicola Picinali, marangon da fabriche, pretende
dal garzon Zanmaria De Biasio "28 soldi al giorno per il suo alimento"
(9 Gennaio 1712). (21)
I garanti
Quasi tutti
i contratti di garzonato terminano con il pieggio, vale a dire
il mallevadore, una persona che faceva da garante e che,
probabilmente, doveva essere presente durante la stipula del contratto
e fornire delle garanzie sulla serietà del nuovo assunto.
In
moltissimi dei casi esaminati, il garante è il padre del garzone,
altre volte può essere il fratello oppure lo zio; spesso queste
parentele vengono specificate dalle fonti, ma, quando ciò non accade,
sono facilmente deducibili dal nome del padre (nel caso di fratelli) o
dalla corrispondenza dei cognomi, per altri legami di sangue. Vedi, a
conferma di tale affermazione, il 30 Agosto 1725 Bastian di Lorenzo
Sabbe, apprendista squerarol, appoggiato dal fratello Iseppo,
forner (22), ed il primo Agosto 1737 il garzone Zuanne Valt di
Apollonio, appoggiato da Silvestro Valt. (23)
Resta
incerto se i garanti dimorassero e lavorassero a Venezia; potrebbe
essere un’ipotesi plausibile, in quanto le generalità del mallevadore
(che poteva essere più di uno) sono specificate nei dettagli e
riportano anche la professione e, a volte, il luogo di lavoro: questo,
secondo me, potrebbe indicare che chi si assumeva un tale incarico
doveva essere facilmente identificabile e rintracciabile.
Ne cito uno
come esempio: Zuanne Scarzanella, forner a S. Lio, è il
fideiussore di Antonio di Simon Bonifacio, assunto il 12 Luglio 1730
dal forner Andrea Colussi. (24)
Un
contratto, tra quelli esaminati, che potrebbe dare qualche indicazione
sulla provenienza del garante, è quello del 13 Ottobre 1742 tra Mattio
di Bernardo Renon da Agordo e il tesser da tela Francesco
Pasquin, che riporta come pieggio Francesco di Giovanni Renon
da Agordo (25); ma, anche in questo caso, con le informazioni a mia
disposizione, non mi è possibile stabilire con certezza se l’agordino
fosse ancora residente al paese natale o si fosse trasferito nella
città lagunare, magari per lavoro.
In un buon
numero di accordi il nome del garante è preceduto dal titolo di
domino, vale a dire capo maestro; ciò significa che, spesso, era
una persona con una carriera consolidata, e quindi di una certa
rispettabilità, quella che si assumeva l’onere di garantire per un
garzone.
Capita
sovente che la stessa persona faccia da mallevadore a più garzoni,
come domino Battista Scola, stampador in rame, che il
primo Dicembre 1733 garantisce per Tommaso Deola, aspirante
occhialer e per Gio.Battista Ganz, aspirante casseler,
entrambi di Canale d’Agordo; il 30 dello stesso mese lo fa per Piero
Dalla Sega, anch’egli di quello stesso paese, ed anche in data 3
Aprile del 1734 troviamo Battista Scola, sempre nelle vesti di
garante, per Lucian fu Antonio Cech, naturalmente di Canale d’Agordo
(26); inutile citare tutti i contratti in cui lo Scola è presente
(sono davvero molti), basti ricordare che tutti i garzoni provengono
dallo stesso paese.
Questi dati
mi permettono di avanzare, senza troppi azzardi, la supposizione che
anche il capo maestro Scola fosse originario di Canale d’Agordo (del
resto questo è un cognome ancora molto diffuso da quelle parti) e che
avesse dei rapporti di amicizia, o comunque di conoscenza, con questi
garzoni o con le loro famiglie e, quindi, cercasse di aiutarli
nell’ardua impresa di trovare lavoro in un paese sconosciuto.
Difatti, in
parecchi contratti, ho notato che i cognomi dei garanti, e tante volte
anche dei datori di lavoro, sono tipici, o comunque molto diffusi,
nella provincia di Belluno e questo non può che significare la loro
comune origine montana: il 02 Gennaio 1707 Nicolò fu Liberal Panciera
si accorda col tentor Nicolò Panciera, il pieggio è
Carlo Panciera (27); in questo caso sono, molto probabilmente, anche
parenti.
Ad
avvalorare quanto appena affermato contribuiscono le precisazioni,
contenute in taluni accordi, che specificano la parentela tra garzone
e datore di lavoro oppure la provenienza dallo stesso paese (o
comunque dal territorio bellunese): ad esempio il casseler
Zuanne Serafin prende a lavorare nella sua bottega il fratello Antonio
il 18 Novembre 1712, (28) mentre presso lo zavater Domenico
Gaspari da Livinallongo troviamo impiegato come garzone, dal 20
Novembre 1713, Marco Da Rozze da Agordo. (29)
Vita dura
La vita di
questi garzoni deve essere stata tutt’altro che facile: duro lavoro
scarsamente, o per niente, retribuito; forse cibo non proprio
abbondante e un alloggio di fortuna visto che, spesso, i capi maestri
dovevano ospitare più apprendisti; la lontananza da casa e dagli
affetti più cari; il trauma del trasferimento in una società cittadina
e lagunare, che niente aveva a che fare con l’ambiente bellunese e la
rassicurante presenza dei monti dove erano cresciuti.
Lo
dimostrano tante annotazioni poste a lato dei contratti di lavoro, che
stanno ad indicare che l’apprendista era scappato: Zuanne Perini,
assunto il 27 Febbraio 1713,
"dice il
paron esserli fuggito il sudeto garzon il 16 Febbraio 1715 la prima
volta, la seconda il 17 Luglio 1716, la terza il 23 Agosto e non esser
più tornato". (30)
Come Zuanne,
molti garzoni scappano più volte dal lavoro, ma poi, a distanza di
qualche giorno, ritornano; alcuni, dopo la fuga, continuano il loro
praticantato ma la maggior parte si rende definitivamente
irreperibile.
In genere i
padroni aspettavano un certo periodo di tempo prima di comunicare la
fuga ai Provveditori alla Giustizia Vecchia (vedi il 29/05/1734 il
contratto di Tommaso De Carli che se n’era andato già da due mesi
quando, l’11 Ottobre 1737, il maestro ne fa annotare la dipartita e
quello del 31 Luglio dello stesso anno del praticante fustagner
Battista del fu Carlo da Livinallongo scomparso già tre mesi prima
della dichiarazione) (31), probabilmente perché era un episodio che si
ripeteva frequentemente e confidavano in un repentino ritorno del
garzone; forse la formula inserita nell’accordo "falando alcun giorno
si tenuto rifar quel paron", era prevista anche per questa
eventualità.
Un episodio
deve essere citato a favore dei datori di lavoro: Alessandro Lorden,
capo maestro fabbro, riaccoglie per tre volte il garzone fuggito
Zanmaria Talamin (alle sue dipendenze dal 10 Novembre 1707) finché,
trovatolo che rubava, lo licenzia. (32)
Ma questo
fatto può anche essere la spia delle davvero misere condizioni di vita
di questi ragazzi, forse costretti a ritornare al lavoro (una volta
fuggiti) dal padre o dal garante, messi di fronte ai bisogni della
famiglia lasciata al paesello, e poi, incapaci di resistere
ulteriormente, scappavano di nuovo o, come Zanmaria, rubavano per
procurarsi ciò che non riuscivano a guadagnare.
Come si
vede le annotazioni contenute in questi registri si prestano a diverse
interpretazioni; impossibile affermare con certezza quale sia la
verità.
Meno
frequenti, ma pur sempre degne di menzione, sono le note (sempre
apposte a lato dell’accordo a cui si riferiscono) che indicano il
licenziamento del garzone. Di solito non sono indicate con chiarezza
le ragioni di un tale provvedimento, ma appare la formula "lo licenza
e ciò stante le cause moventi l’animo suo", in qualche caso con
l’aggiunta di "e consegnato a suo padre", forse per esimersi da ogni
responsabilità.
Questo è
quello che accade a Zanmaria Nagol da Agordo, preso alle dipendenze
del fustagner Gerolamo Venudo il 28 Gennaio 1750 e licenziato
il 15 Aprile 1751 (33); forse si tratta di una casualità, ma ho
notato, nella stessa pagina, il contratto di un garzone (di cui
purtroppo non ho annotato le generalità perché non bellunese), assunto
dallo stesso capo maestro, che era fuggito. Probabilmente i due
episodi non sono correlati, ma la mia fantasia mi ha suggerito la
possibilità che il bellunese abbia reagito in qualche modo alle dure
condizioni a cui era sottoposto e sia stato così licenziato, mentre
l’altro, forse di carattere più mite, abbia preferito la fuga.
Dopo questa
panoramica generale sulle innumerevoli informazioni che si possono
ricavare da un accordo di garzonato, poniamo attenzione alle arti in
cui più nutrita era la presenza degli apprendisti bellunesi, nel
periodo considerato.
Ho
esaminato circa 2400 contratti di lavoro concernenti l’impiego di
bellunesi nella città lagunare: alcuni ho dovuto tralasciarli perché
illeggibili a causa del deterioramento del manoscritto o per
l’incomprensibilità della grafia, altri non riportavano il luogo di
provenienza del garzone e, spesso, ho preferito non trascriverli,
nonostante il cognome indicasse una probabile origine bellunese.
Le
professioni più "affollate" di garzoni bellunesi: sono diciotto, ma ve
ne sono molte altre in cui è segnalata la presenza dei miei
compaesani.
I mestieri
più ambiti
Solo lo
studio di altre fonti consentirebbe di inserirne altre tra i mestieri
più "ambiti" dai montanari.
Nei
contratti di garzonato presi in considerazione i mestieri sono così
suddivisi:
Bombaseri
81
Botteri 21
Calegheri e
Zavateri 350
Capeleri 52
Casseleri
103
Fabbri 46
Forneri 447
Fustagneri
87
Intagliadori 16
Linarol 63
Luganegheri
134
Marangoni
117
Scaleteri
191
Squeraroli
160
Stramazzeri
67
Tentori 139
Tesseri 31
Tornitori
62
Come si può
facilmente notare i settori in cui erano maggiormente concentrati i
garzoni bellunesi, sono alcune arti di vittuaria come i forneri,
i luganegheri e gli scaleteri; arti legate alla
produzione e alla lavorazione di tessuti ed abbigliamento in genere,
come i calegheri, i tentori, i bombaseri, i
fustagneri, gli stramazeri, i tesseri, i capeleri;
ed infine arti legate alla cantieristica, all’edilizia e alla
lavorazione del legno e del ferro come, ad esempio, marangoni,
squeraroli, casseleri, fabbri ed altro.
I forneri
L’arte dei
forneri (fornai) è sicuramente quella che accoglie il maggior
numero di garzoni bellunesi, difatti, da sola, raggruppa quasi il 25%
del totale dei contratti esaminati.
Su 445
ragazzi accordatisi come garzoni, solo 12 risultano essere fuggiti
e questo può certamente derivare dal mancato aggiornamento dei
contratti, ma anche stare a significare che il trattamento loro
riservato dai datori di lavoro era accettabile.
Salta
subito agli occhi il fatto che i cognomi di molti capi maestri, che
assumono questi garzoni, sono di indubbia origine bellunese, anche se
solo per uno di loro, Giovanni Molin, tale informazione è confermata
nel documento; difatti cognomi come Zuliani, Colussi, Costa, Soramaè,
Panciera, Dalla Scola, Dall’Acqua, Longiega, Cucco, Scarzanella, per
non citarne che alcuni, sono ancora oggi molto diffusi nella provincia
di Belluno.
Molti sono
gli accordi tra persone con lo stesso cognome ed è molto probabile che
appartenessero allo stesso casato o, in ogni caso, avessero legami di
parentela; forse per questo pochi abbandonavano il praticantato prima
di averlo terminato: essere alle dipendenze di un consanguineo può
comportare (ma non è garantito) un miglior trattamento ma anche
maggior obblighi, soprattutto morali.
Nel periodo
considerato emerge che gli aspiranti forneri provenivano soprattutto
da Livinallongo (27%) e da Cividal di Belluno (21%), seguiti a breve
distanza dagli zoldani (18%); percentuale non molto inferiore per
quelli originari di Colle Santa Lucia (11%) e di Selva di Cadore
(10%).
Tali dati
ci permettono di individuare nella parte alta dell’attuale provincia
di Belluno la zona di maggior afflusso dei garzoni forneri nel
Settecento; forse questi ragazzi andavano a lavorare da parenti ormai
saldamente insediatisi a Venezia, oppure la popolazione dei territori
montani aveva una particolare abilità in tale mestiere, come sostiene
Lazzarini, nel suo saggio, quando afferma che:
"… sin dai
tempi antichi, quando la popolazione di Venezia cominciò a crescere
considerevolmente, i vivandieri e fruttivendoli chiamarono in aiuto
uomini di una zona ben definita, comprendente "Vinallongo, Col Santa
Lucia, Selva di Cadore, Solt e Rechiavè", per costruire i forni e fare
il pane". (34)
Confrontando i nomi dei garzoni con quelli dei capi maestri di qualche
decennio dopo (riportati in appendice), sono riuscita ad individuarne
alcuni che ricorrono in entrambi gli elenchi: Zuanne Soppelsa, assunto
il 15 Gennaio 1748 potrebbe essere lo stesso che, tra il 1788 e il
1797 risulta esercitare come maestro a San Polo; Francesco Longiega,
garzone dal 31 Maggio 1748, potrebbe essere il medesimo che tiene
bottega a San Geremia ed è catalogato tra i forestieri (difatti
il garzone era originario di Livinallongo, allora sotto l’impero
asburgico).
Ma anche
per Iseppo Pezzei, Lorenzo Dell’Andrea, Zuanne Colussi si potrebbe
affermare la stessa cosa: l’omonimia era, allora, certamente molto più
diffusa che ai nostri tempi ma sono troppi i cognomi bellunesi
ricorrenti nei due elenchi, per pensare ad un evento casuale.
I
luganegheri
L’arte dei
luganegheri (salsicciai e pizzicagnoli) a Venezia, nel
Settecento, vede una folta concentrazione di emigrati chiavennaschi
che esercitano tale mestiere e ne hanno assunto una sorta di monopolio
(35); numerosi, però, sono anche i bellunesi, che provengono
soprattutto dal Cadore (39% dei contratti bellunesi esaminati) e da
Cividal di Belluno (27%).
Un
interessante documento ci fornisce il luogo di nascita e la paternità
di un certo numero di capi maestri, classificati come cadorini.
Oltre a
confermare la mia ipotesi che alcuni garzoni, partiti dalla zona di
Belluno, fossero riusciti a "far fortuna", o comunque a migliorare la
loro condizione economica, a Venezia (come Battista di Antonio Giolai,
nato in Cadore da padre cadorin che aveva una bottega sua alla
Pietà), sono degne di attenzione le notizie riguardanti altri due capi
maestri, Bortolo Ambrosoni e Domenico Franceschi, entrambi nati a
Venezia "da padre cadorin", ambedue con bottega propria.
Questo mi
porta a credere che i loro padri fossero emigrati da giovani
(probabilmente per fare i garzoni) nella Dominante e che, poi, vi si
fossero stabiliti, forse definitivamente, sposandosi con una ragazza
del posto oppure fatta venire dal paese natale.
Anche per i
luganegheri ho trovato delle corrispondenze tra nomi presenti
negli elenchi dei garzoni e in quelli dei capi maestri, come Antonio
Murer, Pietro Follador, Bortolo Dal Negro, per fare un esempio.
I scaleteri
Anche gli
scaleteri (pasticcieri e ciambellai) costituiscono una delle
arti in cui la presenza degli emigranti dolomitici è decisamente
consistente e la stragrande maggioranza di questi (il 70%) proviene da
una zona ben precisa del bellunese: il Cadore.
Si deve
notare però che del 19% di garzoni non è nota la provenienza, ma i
cognomi indicano una sicura origine bellunese; per alcuni potrei anche
azzardare cadorina.
Come per le
altre due professioni esaminate sopra, il confronto con la tabella dei
capi maestri dell’arte ha dato buoni risultati: oltre a dover
segnalare l’inusuale presenza di una donna (che ha due cognomi comuni
in Cadore), molti maestri hanno indicata, accanto al nome, la
provenienza del Cadore; uno addirittura, Daniele Giacchetti, è morto
là (si era, forse, ritirato al paese d’origine una volta raggiunta
l’età avanzata?).
I tempi
Per quanto
riguarda le variazioni dei flussi migratori nel tempo, possiamo notare
che i forneri giungono più numerosi in laguna nel periodo 1710
– 1719 e ancor di più nel 1730 - 1739, pur rimanendo numerosi fino
alla fine del 1750.
I
luganegheri mostrano un picco straordinario nel 1730 - 1739, che
si abbassa, ma non di molto, nel decennio successivo e, dopo un
periodo di bassa affluenza, riprendono, se pur in numero molto
ridotto, tra il 1770 e il 1779.
I dati che
ho raccolto per gli scaleteri partono dal 1740 ed attestano che
questi sono numerosissimi soprattutto tra il 1760 e il 1769, ma la
loro presenza rimane considerevole, pur se in contrazione, fino a
tutto il 1779.
Manifattura
tessile e abbigliamento
Il settore
della manifattura tessile e dell’abbigliamento vede impiegati numerosi
garzoni, addetti a mestieri diversi, che sono emigrati dal territorio
bellunese; in particolare spicca l’arte dei calegher e zavateri
(calzolai e ciabattini) che, nel periodo da me esaminato (in questo
caso 1700 – 1740), conta ben circa 350 apprendisti. Provengono, per il
35%, dal Cadore e per il 28% dal territorio di Cividal di Belluno e
per il 9% dall’Ampezzo.
I
Giustizieri Vecchi ordinarono, nel 1695, che alcune arti, tra cui
quella degli scaleteri e dei calegheri e zavateri,
dovessero tenere libri distinti dalle altre corporazioni per
registrare i propri contratti di garzonato (36); ho consultato questi
documenti per il periodo sopra indicato, ma risulta un "buco" negli
anni tra il 1723 e il 1735, per cui le considerazioni sull’afflusso
potrebbero risultare poco attendibili.
Per quanto
riguarda il periodo successivo, dal 1750 il numero dei contratti in
cui le provenienze non sono specificate, diventa molto alto, tanto
che, dal 1760 circa, questa preziosa informazione scompare quasi del
tutto.
Qualche
dato, per il periodo tra il 1741 e il 1750, possiamo ricavarlo dallo
studio di Andrea Vinello, che ha calcolato, in percentuali, i dati di
provenienza dei garzoni lavoranti a Venezia, per alcuni quinquenni
campione. (37) Notiamo che, tra il 1740 ed il 1745, su un totale di
188 contratti esaminati, il 9% proviene da Belluno, il 5,3% dall’Agordino,
il 3,7% dall’Ampezzo e il 10,6% da altre zone del Cadore; nel
quinquennio 1746-1750 i dati sono: 10% da Belluno, 3,5% dall’Agordino,
7,6% dall’Ampezzo e 5,9% da altre zone del Cadore.
Considerevole, dunque, l’affluenza dei bellunesi in laguna anche in
questi anni, soprattutto dalla città capoluogo e dal Cadore (come era
emerso anche nell’intervallo cronologico da me studiato), anche se,
nell’ultimo periodo, vi è una significativa flessione di questi
ultimi.
Da tutte
queste informazioni si può certamente affermare che l’attività
calzaturiera era una di quelle più praticate dai garzoni provenienti
dal Bellunese: lo dimostrano l’alto numero di contratti (ben 350),
registrato nel breve periodo tra il 1700 e il 1740 (ancora più
significativo se si considera il "buco" di 12 anni), e le numerose
botteghe di capi maestri, con cognome chiaramente montanaro,
distribuite un po’ in tutti i sestieri, nel 1788.
I tentori
Altro
mestiere piuttosto ambito dai garzoni di montagna era il tentor
(tintore), che poteva essere da guado (pianta usata per tingere
di giallo) o da seda; i ragazzi assunti sono nati a Belluno e
nel territorio circostante per il 45%, mente per il 44% sono originari
dello Zoldano. Arrivano in buon numero in laguna dal 1700 al 1719 e,
dopo un notevole calo tra il 1720 e il 1729, raggiungono la loro punta
massima nel decennio 1740 – 1749.
Vi erano,
inoltre, 52 garzoni capeleri (facevano cappelli); 31 tesseri
(tessitori), divisi in da tela e da seda; 87
fustagneri (con i quali ho inserito anche i tesseri da fustagno);
63 linaroli, 67 stramazzeri (fabbricavano materassi di
lana e coperte imbottite) e 81 bombaseri (addetti alla prima
lavorazione del cotone, la battitura del greggio, per prepararlo alla
filatura).
I
tesseri non sono molti, nonostante questa fosse una manifattura
con ancora un notevole numero di addetti a Venezia nel Settecento, e,
a parte il 33% che arrivava da Cividal di Belluno e il 13% dal Cadore,
provenivano un po’ da tutta la provincia.
Ho, però,
individuato un buon numero di capi maestri, certamente d’origine
bellunese, che esercitavano tale professione tra il 1702 e il 1792.
Forse lo
scarso numero degli accordi di garzonato può essere spiegato dal fatto
che gran parte della manodopera dei maestri tesseri veniva
fornita dai famigliari (in misura maggiore che in altre professioni),
che non necessitavano di tale periodo di apprendistato visto che
imparavano il lavoro in casa, fin da piccoli nel caso dei figli,
mentre le moglie erano spesso scelte perché esperte di quello stesso
mestiere: "un matrimonio con una tessitrice esperta era considerato un
buon investimento e un’occasione per l’ampliamento della bottega".
(38)
I
fustagner provengono per il 43% da Canale d’Agordo e per il 39% da
Cividal di Belluno, mentre gli stramazzeri per il 35% dalla
città capoluogo e dintorni, il 18% da Canale e il 15% dal Cadore;
infine i bombaseri sono ben il 58% di Belluno e dintorni e il
27% da Canale d’Agordo. A sostegno di tali dati cito ancora Morena
Luchetta che, nel suo studio nominato sopra, afferma che a Canale d’Agordo,
nel 1811, c’erano ancora 25 stramazeri e 18 bombaseri.
Garzoni per
cantieristica
Per
concludere uno sguardo ai lavori legati all’edilizia, alla
cantieristica e alla lavorazione di ferro e legno.
I garzoni
accordatisi con i marangoni (falegnami e carpentieri) sono
parecchi, specializzati, in prevalenza, nella costruzione di remi (da
remezzi) e di case (da fabriche), ma i dati da me raccolti
sono limitati agli anni dal 1700 al 1724 in quanto, nei registri della
Giustizia Vecchia da me consultati, non ne ho trovati altri.
Nonostante ciò è possibile affermare che questa professione accoglie
il 30% di apprendisti oriundi del Cadore, il 29% di Cividal di
Belluno, e il 22% dell’Ampezzo; da segnalare che, su 117 garzoni
assunti, ben 8 non hanno portato a termine il contratto perché
"fuggito e più tornato" e ciò può essere stato determinato anche dalla
lunghezza dell’apprendistato che, per questo mestiere, andava dai sei
ai sette anni.
Più di
cento, invece, i capi maestri (sempre individuati dal cognome) di
origine bellunese, scovati nei registri dell’arte dal 1709 al 1780:
appare subito evidente che sono quasi tutti dediti alla costruzione di
case, mentre i cognomi più ricorrenti sono i soliti Costantini,
Panciera, Barbon, De Luca, Pina, Tomasi, Dal Fabbro, Zuliani.
Un’arte che
mi ha molto colpito è stata quella degli intagliadori, nella
quale mi sono stupita di trovare apprendisti bellunesi che, vista la
vicinanza ai boschi, ritenevo esperti nella lavorazione del legname.
Non ho rinvenuto molti contratti (forse si trovano in altri
documenti), ma i sedici trovati mi hanno permesso di ottenere qualche
informazione su una professione certamente qualificata per la sua
componente artistica, essendo legata all’industria dei mobili e dei
quadri.
A riprova,
nessuno dei garzoni citati in questi accordi riceve un compenso di
qualche genere, anzi, in alcuni casi, è il padre a dover corrispondere
al padrone una somma in denaro: Iseppo Berton riceve da Lorenzo Nardi,
genitore di Pietro, 45 ducati "una volta tanto". (39)
Questi
contratti coprono un periodo che va dal 1706 al 1770 e mostrano una
concentrazione di presenze tra il 1740 e il 1770.
Del 32% dei
garzoni non è dato di sapere la provenienza, anche se i cognomi non
lasciano molti dubbi; il 31% è originario del territorio di Cividal di
Belluno e il 19% dall’Ampezzo. Più numerosi i capi maestri
probabilmente bellunesi, tra i quali penso di aver ritrovato almeno un
garzone: Cristoforo Calegari apprendista nel 1749 può essere lo stesso
che esercita come maestro nel 1774; ci sono, poi, due Tommaso
Panciera, uno garzone nel 1735 e l’altro capo nel 1742, ma forse non
sono la stessa persona. E il padre del Tommaso garzone, Valerio
Panciera, è lo stesso, maestro nel 1786, oppure è un altro caso di
omonimia? Probabilmente sì, ma allora, forse, erano parenti.
Come si
vede non è per niente semplice riuscire a seguire con sicurezza la
carriera di un garzone, in quanto mancano dati certi e i
frequentissimi casi di omonimia sicuramente non aiutano a chiarire la
situazione.
Gli
squeraroli che giungono a lavorare in laguna arrivano soprattutto
da Zoldo (47%), come dimostra il lavoro di Caniato già citato, e
mantennero un’affluenza costante e rilevante sicuramente fino al 1779,
anche se sappiamo che le famiglie di origine zoldana dei Casal, dei
Battistin e dei Tramontin, senza dimenticare il famoso scultore del
legno Valentin Panciera (un omonimo del quale si trova sia nei
contratti di garzonato che tra i maestri), continueranno ad essere
indiscusse protagoniste nella fabbricazione delle migliori barche di
Venezia per tutto l’Ottocento. (40)
Molto
numerosi sono anche altri lavoratori del legno, i casseler,
anch’essi apprendisti per sei anni, la maggior parte dei quali partiva
dal Cadore (41%), seguita da un 19% da Belluno e dintorni; anche per
tornitori e fabbri la fascia più consistente è di
origine cadorina, il 50% per i primi, addirittura il 56% per i
lavoratori del ferro, mentre un 16% viene da Cividal di Belluno per
entrambe le professioni.
Infine i
botteri, in numero non molto rilevante, ma soprattutto ampezzani e
da Belluno di un buon 29% non si conosce il luogo di nascita.
Dunque, per
molti mestieri, possiamo individuare una precisa zona del Bellunese
dalla quale provengono la maggior parte dei garzoni, una sorta di area
specializzata nel fornire apprendisti di un determinato mestiere. Ed
ecco, allora, che gli aspiranti squeraroli sono zoldani, i
tornitori, gli scaleteri, i casseleri, i fabbri
vengono dal Cadore, mentre stramazzeri e bombaseri sono
da Cividal di Belluno, i fustagneri da Canale d’Agordo e da
Cividal di Belluno, i botteri dall’Ampezzo, i luganegheri
dal Cadore e da Belluno. Per le restanti arti le percentuali non sono
così ben definite da poter individuare un preciso luogo di provenienza
dei garzoni.
Analizzare
l’emigrazione nel tempo è piuttosto rischioso, visto che i periodi
considerati spesso non coincidono per tutte le arti studiate e molti
sono parziali; nonostante ciò potrei azzardare alcune osservazioni.
L’arte dei
forneri è sicuramente la più attendibile visto il gran numero
dei contratti analizzati e il lungo arco temporale che questi
ricoprono, dal 1700 al 1779 si possono individuare tre periodi di
grande afflusso: 1710 – 1719, 1730 – 1739 e, anche se in misura
leggermente inferiore, 1740 – 1749. Anche per casseler e
tentor dispongo di un sufficiente numero di dati, che coprono lo
stesso periodo, ed anche qui si possono notare degli aumenti dei
contratti nel 1710 – 1719, nel 1730 – 1739 e, soprattutto, nel 1740 –
1749.
Le altre
arti
Uno sguardo
generale alle altre arti prese in considerazione mi porta ad
individuare nel decennio 1710 – 1719 e nel periodo dal 1730 al 1750 i
momenti in cui i flussi migratori si sono fatti particolarmente
intensi; in alcune corporazioni come linaroli, squeraroli
ed intagliadori il picco di massima affluenza è stato tra il
1750 e il 1759.
Queste
osservazioni potrebbero indicare che, nei periodi individuati sopra,
la montagna attraversò delle crisi di produzione, dovute forse a
condizioni climatiche sfavorevoli (particolarmente grave risultò
l’inondazione del 1748), per cui la già poco florida agricoltura non
riusciva più a sfamare tutti.
Oppure
possono essere stati periodi in cui la popolazione era particolarmente
numerosa, soprattutto in fasce d’età come l’adolescenza, perciò
l’emigrazione aumentava notevolmente; non si può, inoltre, escludere
che tali flussi fossero determinati dalle esigenze del mercato
veneziano e perciò i picchi in certe professioni, in ben determinati
periodi, possono essere dovuti ad una maggior richiesta di manodopera.
Nel
considerare quanto detto sopra, bisogna tener conto del fatto che
spesso i documenti riportano dei vuoti cronologici considerevoli e che
molti contratti sono contenuti in fonti diverse; che la patria dei
ragazzi assunti molte volte non è indicata o è incomprensibile, che
probabilmente tantissimi garzoni non erano registrati o i loro dati
non sono scritti correttamente; la dicitura Cividal di Belluno, poi,
comprende un’area molto vasta e potrebbe addirittura includere
fanciulli che provenivano dall’Agordino, da Zoldo, dall’Alpago o dal
Longaronese.
Tenuto
conto di tutte queste incertezze, ho cercato di fornire un’idea dei
flussi migratori dei garzoni, diretti dalle montagne bellunesi verso
Venezia nel Settecento; un movimento di persone che non va certo
ignorato e sottovalutato, vista la sua consistenza, per gli effetti
che ha sicuramente prodotto nella vita e nell’economia delle nostre
Dolomiti.
L.M.
Note
(1)